Arena di Verona, 29 Luglio 2018.
Devo ricontrollare un paio di volte la data sul calendario, considerando la presenza inalterata di maglie dei Police a tutto spiano.
L’Arena è esattamente di fronte a me ed appare pronta – e meravigliosa come sempre – per il concerto di Sting e Shaggy, in occasione di una delle numerose tappe italiane del 44/876 tour.
La mia domanda piuttosto, è se la venue sia altrettanto pronta per raccogliere tra le braccia, tutto il mio rimpianto per non essere stata un’adolescente negli Anni Ottanta.
Ma questa, è un’altra storia.
A scegliere di trascorrere la serata con Sting e Shaggy, sono prevalentemente persone che, adolescenti negli Eighties, lo sono state, e mi sembra sia evidente sin da subito che l’album che ha previsto la collaborazione dei due artisti, non avrà vita facile, considerando i pezzi in scaletta.
Da qui sorge spontaneo un altro quesito, ben distante dalle mie diatribe personali con il decennio più decantato di sempre: Shaggy sarà un’aggiunta al concerto che ci attende, o un elemento di distrazione?
Il flusso dei miei pensieri viene spezzato inaspettatamente, dal momento in cui i due, abbozzano un ingresso improvvisatissimo che lascia tutti i presenti in preda ad un certo delirio.
Sting sale sul palco senza video di introduzione, giochi di fumo o esperimenti di grafica vari, ma scopro sin da subito che non ne ha bisogno perchè, puntualmente, ho la sensazione che l’Arena possa crollare sotto i miei piedi da un momento all’altro.
Dopo un inizio bomba con Englishman in New York, rivisitata con riferimenti testuali e sonori alla Jamaica, la serata prosegue dando spazio ai pezzi contenuti nell’ultimo album, con influenze reggae da ginocchia molleggiate e un cocktail tra le mani che lascio scegliere a voi.
Ma è quando le prime note di Message In A Bottle cominciano ad abbracciare le mura dell’Arena, che il concerto raggiunge un’apice che pochi concerti a cui sono stata, hanno saputo regalarmi.
E’ quello il momento in cui il 2018, è solo un numero su un pezzo di carta ed il tempo, un compagno di treno sceso alla fermata prima della tua.
Non ci sono più vite che sono andate avanti con il lavoro, la casa, la famiglia ed il mutuo: ci sono solo persone che urlano a squarciagola con l’intimità e la fiducia, con cui potrebbero averlo fatto anni prima nella loro camera da letto.
Le canzoni si susseguono velocemente e ho il piacere di smentirmi: il pubblico sembra apprezzare anche i brani tratti da 44/876 e Shaggy svolge un ruolo fondamentale per la riuscita della serata.
Lo fa vestendo i panni di un bellissimo anello di congiunzione tra Sting e il suo pubblico, considerando la totale assenza discorsiva di quest’ultimo.
E’ Shaggy ad incitare il pubblico, è Shaggy a movimentare e richiamare la folla alla totale attenzione: ma è Sting, senza l’utilizzo di una parola che si allontani dai testi, a dire tutto ciò di cui la serata aveva bisogno per decollare.
E’ incredibile che io lo stia dicendo e ho la piena consapevolezza di quanto per un occhio esterno, sia difficile da comprendere.
Ma Sting ieri, ha confidato ad ogni singolo presente, molto più di quanto avrebbe potuto fare spiegando ed introducendo minuziosamente ogni pezzo, riportando alla luce un modo di proporre la musica che non mi capitava di testare live da un po’.
Sting non ha parlato ma il suo pubblico ha parlato per lui, creando momenti in cui l’Arena di Verona ha saputo inginocchiarsi dinnanzi alla potenza di una voce e di una chitarra, durante pezzi della valenza di Fields Of Gold, Shape Of My Heart e Fragile.
Non so spiegare come ci riesca, se sia il frutto del talento che custodisce dentro di sè o di una costanza e cura continua di quest’ultimo o se probabilmente ancora, di un mix di questi due fattori.
Ma dall’altezza – considerevole – delle gradinate non numerate, Sting ha saputo abbracciarmi.
Lo ha fatto con la stessa forza delle sue parole che, per qualità ed impatto, potrebbero essere state pubblicate nel 1979 come ieri pomeriggio.
Capisco inoltre, con una certa prontezza, quanto il matrimonio tra Shaggy e Sting sia bellissimo e destinato ad una vita felice.
Da un lato l’essenza british quasi pungente, trova un conforto a dir poco riuscitissimo nell’anima black reggae dell’artista.
Torno a casa dopo il mio appuntamento con Sting e Shaggy, senza le parole adatte e con una certa dose di preoccupazione, per come avrei potuto esporre al meglio qui sopra il corso della serata.
E’ difficile parlare di come ti cambi sentire dal vivo, pezzi che ti hanno sempre avvolto come una coperta, quando tutto ciò di cui avevi bisogno, era un po’ di calore.
E’ difficile al tempo stesso, sfiorare le colonne portanti di un qualcosa che ami dal profondo del cuore, ed avere la consapevolezza di quanto, la persona davanti a te, ne abbia mutato per sempre le radici.
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