Il coming out è stato effettuato nel post precedente che, se avete perso, vi consiglio vivamente di recuperare QUI.
La mia ascesa al Milano Rocks, almeno per ciò che riguarda la prima data, riguardava prevalentemente la presenza in line up dei The 1975.
Il caso e l’amministrazione vuole che, in realtà, la main band della serata fossero i Florence + The Machine di cui mi ritengo una mera ascoltatrice: conosco i pezzi cardine, i capelli rossi e i riferimenti di mille altri colori.
Ecco perché quando ho avvertito il brivido nel corso dell’esplosione artistica di Florence, non nego di essermi stupita.
Il live di Florence mi ha investito come un treno, in un connubio fra l’eleganza e i pugni in faccia, fra la delicatezza, l’imponenza dell’arte e dell’aspetto visual della musica.
Florence è una carezza, un fiore, un bivio pregno di spine, l’emblema di ciò che una rockstar può essere oggi, senza che il genere contamini e definisca le radici.
Sono rimasta travolta da una proposta discografica che cela così tanto del passato e promette così tanto al presente che, anche solo definire discografica, sembra un graffio alla bellezza e all’onestà dell’intero progetto.
Mi aspettavo più relax, mi aspettavo momenti fin troppo pacati e mi sono ritrovata in un frangente intriso di corse, giravolte e tete a tete con il pubblico.
Bello, vero, a tratti irrazionale.
Florence invita a mettere via i cellulari, ne denuncia l’alienazione e descrive il momento in maniera minuziosa e rigorosamente british, per comunicare alla folla la veridicità del frammento di ciò che stava vivendo.
Un live che non dimenticherò, me lo porterò dietro, lo andrò a custodire gelosamente.
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